L’ATLETA DI SUCCESSO

Diamo il via alla serie di featuring. Primo ospite? Fabio Palma. Argomento? Le cinque cose che uno sportivo deve avere per diventare un atleta di successo. A te Fabio!

Si sarebbe tentati di dire Passione, come prima e forse unica parola chiave per un atleta di arrampicata, quindi un agonista, ma ci sono troppi controesempi da altri sport per liquidare così la questione. Chiunque abbia letto il capolavoro Open, la biografia di Agassi, sa che puoi diventare numero 1 al mondo in Sport milionari con milioni di praticanti senza provare reale passione per quello sport. Anche lo splendido Podcast di Bsmt din Tamberi rivela che la vera passione sportiva di Gimbo è sempre stato il basket, non certo il salto in alto. Divertimento? Certo agli inizi si, diciamo prima dei 15 anni, ma dopo anche la parola divertimento stona molto con il concetto di essere atleta. Ci si diverte in falesia e a far blocchi, molto molto meno in estenuanti allenamenti la domenica quando fuori c’è il sole. “Vivere per allenarsi, che è molto diverso che allenarsi 8 ore al giorno”, così Andrea Bargnani, in un altro Podcast di BSMT, assolutamente rivelatore.

Ecco allora le mie parole chiave, faranno male anche a molti atleti, ma non trovo davvero errori anche a rileggere…

Consistenza. L’atleta non sgarra mai, anche in Off season, e per anni. Socialità, nutrizione, relazioni extra… Tutto è in funzione della propria carriera. Che può durare 5 o 20 anni, ormai. Si è numero 1 al mondo anche a 36-39 anni in sport molto più intensi e duri dell’arrampicata nelle tre discipline. Se il gelato non te lo puoi permettere e dormire 9 ore è necessario, allora al prossimo gelato lo mangerai quando ti ritirerai e a letto a dormire andrai sempre alle 22.30 massimo. Sapendo che sarai comunque un privilegiato, perché in certi sport la prima seduta è alle 6 di mattina e la Socialità dell’arrampicata, che comunque é molto alta perché ci si allena in palestre fra la gente, è una chimera sconosciuta

Resilienza. Mai lamentarsi, mai ripetersi e ripetere ad altri, sono stanco. Solo al proprio allenatore, che deve gestire la scheda quotidiana. Lamentarsi è l’anticamera della sconfitta.

Pazienza. Spesso all’inizio si migliora velocemente soprattutto se si ha talento. Ma quando arrivi prima a livello senior italiano, poi europeo, poi mondiale, i miglioramenti diventano lenti, talvolta lentissimi. Con ricadute possibili e notevoli. I Podcast di Tamberi e Bargnani già citati sono perfetti anche in questa spiegazione.

Contesto. Il giusto allenatore, la giusta società, la giusta federazione, la giusta famiglia. Un mio ottimo atleta a mio parere prospetto di livello senior mondiale aveva ad esempio la famiglia sbagliata. Ma tutto incide. Un allenatore non ha mai più del 20% del merito e non dovrebbe mai comparire a fianco dell’atleta su un podio. Dirigenti e tecnici federali devono avere un profilo bassissimo. Devono lavorare tantissimo tutto in funzione dell’atleta. Senza premiazioni, riconoscimenti. Non sono loro a scendere nell’arena e a sopportare tensioni e pressioni indicibili e ignote in altre professioni. E devono sostenere e promuovere la meritocrazia, grande punto debole dell’Italia nel lavoro (anche nelle aziende private italiane, spesso), nelle università, nello sport. 

Fiducia. L’atleta deve avere sempre una fiducia massima. Soprattutto perché non esistono professioni con tal numero di sconfitte. Nel basket sei un Campione se tiri da tre con il 40 per cento. Significa che sbagli 6 volte su 10…Beatrice Colli ha perso tantissime volte, sia in Speed che in Boulder, pur essendo quel giorno più forte di tutte. Nel 2023 fu prima nelle qualifiche di una CI boulder, uscì per la semifinale in forma strepitosa, in 3 boulder su 5 non usò delle prese… Mancò la finale ed era, quel week end, la più forte. Altre volte puoi essere ben al di sotto del tuo standard e finire dietro quasi senza spiegazione. La spiegazione c’è sempre ma magari arriva dopo settimane o mesi di analisi. Il Campione archivia la sconfitta in pochi minuti. E questa rivoluzione culturale fu planetariamente divulgata prima da Jordan poi da Bryant e Phelps. Prima anche i campionissimi deflagravano alla prima grande sconfitta (Borg, Hagler, Mcenroe…)

Tocca a me. Allora io dico… Il coraggio. Una cosa che non può mancare all’atleta di successo è il coraggio. Essere coraggiosi non vuol dire non avere paura, vuol dire affrontarla, farci amicizia. Un pugile, prima del match, ha paura. Paris, a Kitzbuehel, ha paura. Bagnaia, quando scavalla verso la San Donato a oltre 350 km/h, frena con due dita ed esegue una staccata esagerata con il posteriore che galleggia, ha paura. La paura non deve essere un limite, dev’essere l’alleato che ti conferisce quel pizzico di attenzione in più.

Un atleta deve avere la visione sul lungo periodo. Ogni giorno c’è un piccolo obiettivo, ogni ripetizione è un piccolo obiettivo. L’essere capaci di vedere oltre è una delle capacità più utili. Oggi non riesco, non è oggi che devo riuscire, dovrò riuscire, occorre separare la performance dalla pratica. 99% di lavoro e 1% di gara, non ci sono scorciatoie, non esiste la pozione magica, né gli allenamenti miracolosi dove dedichi poco e ottieni tanto, si avanza con tempo,sudore e fatica. Se non hai la visione sul lungo periodo, molli. 

La creatività è un grande alleato. Nell’alto livello, essere capaci a trovare soluzioni alternative paga, se non sei capace, non arrivi. Il sorpasso di Rossi su Stoner, il primo triplo lancio eseguito in una gara di boulder… Sapete da chi? Gabri Moroni. Se tutti fanno in un modo, non è sempre detto che non si possa fare meglio. 

Voglia di scoprire, sperimentare, trovare alternative: la curiosità. Un grande atleta ha una fame senza eguali di sapere, di conoscere, di scoprire. Si guarda, guarda gli altri, chiede, frantuma le palle. Lo fa in modo trasversale, non solo legato al mondo del suo sport. Anche su questo aspetto si può migliorare, è una capacità che può essere stimolata.  “Se non cerchi di sapere non saprai né avrai mai.” Di chi è questa?

Confidenza in sé stessi, importantissima. Avere fiducia in sé e nei propri mezzi, nel percorso fatto, nel suo sapere. Molti la scambiano con l’arroganza. Non è arroganza, è sapere di poterlo fare, Ibra insegna. Shauna Coxsey, ai tempi d’oro, usciva dall’isolamento camminando. Aveva già vinto praticamente. Non c’è fretta, non s’è spazio per i dubbi. C’è solo la voglia di prendersi ciò per cui uno ha lavorato duramente. Per molti è innato, per altri (il sottoscritto) è una capacità che va allenata, proprio come la forza di dita.

Per finire, ancora Fabio: delle tre discipline sicuramente la più mentalmente difficile da allenare è la speed. Trovo veramente pochi paragoni anche negli sport più mentalmente usuranti, certamente il salto in alto, ma insomma non tanti. Eppure anche in Sport molto ludici si può arrivare a una pratica mentalmente spinta, e inevitabilmente questo consistency porta all’eccellenza. Steph Curry quasi 10 anni fa rivoluzionò lo sport più ricco del mondo con il tiro da tre. È il miglior tiratore da tre, ovvero da lunga distanza della storia NBA. Bene, Curry in allenamento oltre a tutto il resto con gli altri si isola e si esercita con 500 tiri al giorno. 3500 la settimana. 14000 al mese. 168.000 all’anno. In 15 anni di carriera fanno oltre 2,5 milioni di tiri da tre. In realtà contando quelli da ragazzino, Steph ha detto, dovrei essere a 8 milioni. Sapete quanti tiri da tre gli sono venuti in 15 anni in partita, ed è il primo per distacco? 3500. Con circa il 40% di risultati. Ora, io ho visto più volte atleti e atlete di arrampicata sbuffare per la richiesta di ripetere un aggancio di punta in un boulder, dopo che gli era venuto magari dopo 10 tentativi. “L’ho già fatto”, e poi vedi con la coda nell’occhio che agli altri sbuffa. In quel momento ho sempre pensato che non andranno mai da nessuna parte. Faranno anche finali di Coppa Italia. Forse anche podi. Magari anche qualche semifinale di Coppa del Mondo, chi lo sa. Ma avranno sempre davanti qualcuno o qualcuna nel mondo capaci, senza alzare gli occhi al cielo, senza mostrare una faccia stanca e annoiata e nervosa, di riprovare per venti volte un aggancio di punta. Non so se in arrampicata ci sarà mai qualcuno capace di provare nella sua vita 8 milioni di agganci di punta. Ma certamente c’è già qualcuno e qualcuna che lo ripetono 10 volte invece di una e basta. E avrà 10 volte i risultati, perché “il talento è grandemente sopravvalutato” KB24

Pubblicato da Alessandro Palma

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